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L’artista dette un’occhiata al disegno: non riusciva a credere ai suoi occhi. Non aveva mai visto l’immagine cosi viva d’una pecora. «Chi sei?» chiese al ragazzo. «Mi chiamo Giotto» fu la risposta.

Il critico d’arte Paolo Battaglia La Terra Borgese: “Eccovi Giotto in due parole”:

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L’inizio della storia

Un pittore che percorreva faticosamente una strada delle montagne toscane passò accanto a un pastorello chino su una grossa pietra dalla superficie piatta. Il ragazzo stava disegnando sulla pietra con un ramoscello bruciato: un carboncino. L’artista dette un’occhiata al disegno: non riusciva a credere ai suoi occhi. Non aveva mai visto l’immagine cosi viva d’una pecora.

«Chi sei?» chiese al ragazzo.

«Mi chiamo Giotto» fu la risposta. «Mio padre fa il contadino e io porto le bestie al pascolo. Abitiamo lassù.»

Il ragazzo e il pittore salirono fino alla casa colonica e lì l’artista parlò a lungo col padre del ragazzo. Gli disse che Giotto aveva un talento straordinario e che doveva studiare. Alla fine l’artista, che era Cimabue, il più grande pittore di quel tempo, si offrì di prendere Giotto come apprendista. Il ragazzo avrebbe macinato e mischiato i colori, lavato i pennelli e, in cambio, lui gli avrebbe insegnato a dipingere.

Il talento che aveva quel ragazzo per creare immagini vive e parlanti doveva cambiare il corso dell’arte: sul finire del Duecento e al principio del Trecento egli dette inizio a una nuova tradizione nella pittura, allontanandosi dalla rigidezza e dall’uniformità dell’arte bizantina e avviandosi alla padronanza della prospettiva e della Natura.

Giotto basò la sua pittura su quello che vedeva. Quando dipingeva un albero, questo sembrava davvero un albero entro uno spazio tridimensionale. Le persone che dipingeva avevano proprio l’aspetto di creature umane. Si poteva leggere loro in volto che tipo di persone erano. Si poteva capirne perfino i sentimenti: paura, dolore, felicità, amore.

Imitato da tutti

Dal giorno che si cominciarono a vedere in pubblico i quadri di Giotto, altri artisti lo imitarono. I più grandi pittori che vennero in seguito – Raffaello, Leonardo, Michelangelo – riconobbero tutti il loro debito verso il suo nuovissimo modo di dipingere.

La fede in Dio

Giotto era profondamente religioso, come la maggior parte dei suoi contemporanei. In quel tempo tutta l’Europa era percorsa da un risveglio spirituale. Le genti erano affascinate dalla bellezza dei misteri della fede.

San Francesco

Questo risveglio era stato causato in gran parte dall’influenza di San Francesco d’Assisi, che era morto mezzo secolo prima della nascita di Giotto. Francesco era figlio di un ricco mercante, aveva donato ai poveri tutto quel che possedeva, perfino le scarpe, e da allora in poi era sempre andato in giro scalzo, vestito di una rozza tunica.

Francesco si prodigava per aiutare il prossimo, specialmente chi era stato maggiormente colpito dalla sventura: poveri, reietti, lebbrosi. Voleva dimostrare con il suo esempio che Dio è amore. E nel far questo, egli stesso divenne l’uomo più amato del suo tempo e due anni dopo la morte fu canonizzato.

Assisi

Ad Assisi fu costruita una chiesa dedicata a lui. Quando fu terminata, si chiamò il giovane Giotto per fargli dipingere sulle pareti interne la storia della vita di San Francesco: un immenso libro illustrato, composto di 28 scene d’una ricca varietà di colori. Dal giorno che quelle pareti furono scoperte, la gente è rimasta affascinata davanti a quelle scene cosi piene di vita. Non si era mai visto niente di simile. Oggi, dopo sei secoli, i turisti accorrono ancora in quella chiesa da tutto il mondo e si fermano attoniti e ammirati davanti a quegli affreschi.

Il più celebre dei 28 dipinti è quello di San Francesco che predica agli uccelli. Si narra che il santo li chiamasse: «Uccelli, fratelli miei » e che gli uccelli lo ascoltassero “come se avessero l’uso della ragione”. Questa scena esprime in modo meraviglioso l’amore universale che è al centro della leggenda di San Francesco.

L’artista, il pittore più bravo

L’unione straordinaria delle doti di cuore e dell’abilità fece di Giotto il primo artista dei suoi tempi. Tutti gli prodigarono lodi e omaggi; re e duchi lo invitarono nei loro palazzi e cercarono di farsi dipingere dei quadri. Ma Giotto non si scomponeva. Dipinse per loro e accettò i loro compensi (quanto bastava per mantenere con ogni agiatezza la moglie e i sei figli) ma non perse mai la modestia. Non permetteva neppure che gli altri artisti lo chiamassero Maestro!

Signoria di Firenze, il campanile del duomo

Giotto raggiunse un’insuperata grandezza nella pittura, ma eccelse anche in altre arti. Fu scultore, poeta, compositore e architetto. Di tutti gli onori che gli furono tributati, il più grande fu forse la deliberazione presa dalla Signoria di Firenze. Con quella deliberazione gli fu chiesto di venire ad abitare a Firenze affinché «con la sua presenza molti possano godere i vantaggi della sua maestria». Quando egli accettò, Firenze gli dette il titolo di architetto della città e lo incaricò di disegnare il campanile del duomo. Questo è ancora uno dei più celebri campanili del mondo.

Quando mori, sulla settantina, fu onorato tanto dalla gente del popolo quanto dai conoscitori dell’arte.

L’epitaffio

In seguito conclude Battaglia La Terra Borgese –, il più grande dei Medici, Lorenzo il Magnifico, fece incidere questo epitaffio sulla sua tomba: «lo son colui ad opera del quale la morta pittura risorse, per il quale la destrezza fu pari alla facilità della mano. Se la mia arte è imperfetta lo è anche la Natura … Infatti son Giotto

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Dir. artistica Emanuela Petroni
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